# Renzo Tian, “Il Messaggero”, Roma, 11 gennaio 1974.

<!– @page { size: 21cm 29.7cm; margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>

La novità de Gli esami non finiscono mai sta soprattutto nel suo impianto che partecipa un po’ della colorita animazione burattinesca delle farse di Scarpetta; la comicità malinconica di Eduardo rivela in questa commedia il legame con l’antenato maggiore e quello minore, entrambi appartenenti alla grande razza dei creatori totali di teatro. Lo stile si avverte fin dall’inizio. Nel prologo Eduardo spiega che tre barbe finte, una nera, l’altra grigia e l’altra bianca, simboleggiano la giovinezza, l’età di mezzo e la vecchiaia del protagonista. Ma dopo la spiegazione, invece di fissarsi al mento la barba nera, Eduardo se l’aggancia con gli elastici a un bottone della giacca e dice alla gente: «Tanto ormai avete capito». Questo non era scritto, nel testo. E in questo piccolo estro di improvvisazione c’è tutto lo stile di Eduardo, di questa stagione straordinaria della sua arte. È uno stile che si lascia dietro gli accessori, uno ad uno; non ha bisogno di fingere, ma soltanto di accennare; tende sempre di più all’astrazione, ma non all’astrazione da tavolino, bensì a quella vivente della riduzione dell’essenziale. Questa commedia ha per scene, oltre a pochi oggetti d’arredo, dei gustosi fondalini di Mino Maccari fatti scendere contro le quinte nere. Niente altro. In fondo all’itinerario di Eduardo c’è sempre meno da vedere e sempre più da ascoltare, o meglio da intuire attraverso quei miracolosi connubi eduardiani tra parole, gesti, silenzi, sguardi. Tutto il terzo atto eduardo lo passa in silenzio; segue le parole e le azioni degli altri commentandole con la mimica, emette qualche suono inarticolato. Non è la malattia del personaggio, è la sua volontà. In fondo al circuito di una vita costellata di esami insensati e malfidi, c’è il traguardo della tesi di laurea del silenzio. Sembra che nella sua poltrona di malato volontario Eduardo abbia trovato quello che andava cercando il suo lontano progenitore, il misantropo molieriano; un luogo appartato dove sia data la libertà di essere uomini d’onore.

# Giovanni Antonucci, Eduardo De Filippo, introduzione e guida allo studio dell’opera eduardiana, Firenze, Le Monnier, 1990, p.44

<!– @page { size: 21cm 29.7cm; margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>

Uomo e galantuomo appare […] sostenuta da un disegno drammaturgico molto abile. Anche qui siamo in piena tradizione scarpettiana, ma essa è rielaborata con un senso degli effetti scenici assai abile e alla luce di un pirandellismo per nulla programmatico. La farsa resta tale, ma si tinge di vibrazioni morali precise. Il dissidio tra la realtà delle passioni umane e la necessità delle convenzioni sociali è rappresentato scaltramente attraverso il mondo del teatro, che diventa una sorta di metafora della condizione umana.

Published in: on 14 novembre 2008 at 13:09  Lascia un commento  
Tags: , , ,

#Emma Giammatteri (De Filippo, p.19) citando Siro Ferrone, Problemi di drammaturgia, negli Atti del Convegno «Teatro dell’Italia unita», Firenze 1977-78

<!– @page { size: 21cm 29.7cm; margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>

[…] da Uomo e galantuomo a L’arte della commedia (1964), è operante la memoria dell’artigianato comico locale e, in paricolare, sia l’ideologia scarpettiana del «mestiere» sia l’opposizione, nel testo, «fra una situazione stabilita come convenzionale e il comportamento non eduacato, naif, dell’attore».Ed è proprio il teatrante, come personaggio inattuale e incapace di vivere secondo buonsenso (Ferrone, id), contro la «finzione di classe» praticata dalla borghesia, i concreti valori della verità.

Published in: on 14 novembre 2008 at 12:48  Lascia un commento  
Tags: , , , ,

#Isabella Quarantotti De Filippo, Ricordando Eduardo, in AA.VV., Omaggio a Eduardo, a cura di Luciana Boccardi, Venezia, Edizioni In Castello, Venezia 3 ottobre 1985 ?????

Come si fa a raccontare la vita di un uomo che ha vissuto centinaia di vite ognuna diversa eppure tutte «sue»?

[…] La vera vita di Eduardo è stata e rimarrà un mistero. De resto, egli ha sempre coltivato il culto del mistero; e come dargli torto? Anche sapendo dove e come è nato un artista, quando ha cominciato a scrivere e a recitare, ci si può davvero rendere conto del perché ha raggiunto cime altissime o appena superato la mediocrità?

[…] Tutti sanno che il suo padre naturale fu Eduardo Scarpetta, il grande attore napoletano, e che sua mamma Luisa De Filippo, giovanissima e bellissima, era una nipote di Rosa Scarpetta. Il mondo del teatro doveva sembrarle assai insicuro e aleatorio (come infatti era a quei tempi, quando gli attori facevano la fame e la fortuna arrivava, se arrivava, dopo anni di sacrifici), tanto è vero che cercò con ogni mezzo di allontanare suo figlio dalle scene. Uno dei ricordi più strazianti di Eduardo era quello della mamma che strappava le scenette, gli atti unici che egli scriveva a tredici, quattordici anni, esortandolo a pensare seriamente al proprio avvenire e spronandolo ad abbracciare la carriera di elettricista.

Scarpetta, invece, aveva fiducia nel teatro. E come poteva essere altrimenti? Acclamato da tutti, adorato a Napoli e fuori Napoli, la sua carriera descrisse una parabola ascendente fino a quando, paradossalmente, fu colpito da quel che gli inglesi chiamano «stage fright». La brava e simpatica attrice Amelia Perrella mi ha raccontato come accadde: una sera Amelia, appena adolescente, era in scena accanto a Scarpetta che, come voleva il copione, le aveva poggiato una mano sulla spalla, improvvisamente la mano cominciò a tremare convulsa… lo guardò in faccia, e vide che impallidiva, sudava e per poco non svenne. Riuscì a superare la crisi ma da lì a poco si ritirò dalle scene.

Ma per tornare a Eduardo: suo padre gli regalò una piccola scrivania antica di cui il ragazzo andava orgoglioso […]; passava ore inchiodato sulla sedia a copiare, per ordine di Scarpetta. Malgrado al fatica, quel lavoro lo affascinava e poco per volta acquistò la dimestichezza con la tecnica dello scrivere commedie: il taglio delle scene, la durata degli atti, lo stile dei dialoghi. Eduardo è sempre stato grato a suo padre che, sia pure con severità eccessiva, lo spinse a fare teatro […].

Published in: on 14 novembre 2008 at 05:22  Lascia un commento  
Tags: , ,

#Eduardo De Filippo, dall’ultima intervista rilasciata al Mattino di Napoli, a cura di Carlo Premo e Lello Greco

Scarpetta è stato un personaggio molto bersagliato sia dalla critica sia dai suoi nemici in arte. Ha dovuto sempre battersi ed anche dopo morto non ha avuto fortuna. De resto per noi i grandi attori, i grandi inventori, i grandi scrittori sono sempre stranieri, non c’è niente da fare. La causa di D’Annunzio fu certamente fra i momenti più dolorosi della vita di Scarpetta. Quando si fece il processo avevo otto anni ma ricordo benissimo che diavoleria gli combinarono. La prima del «Il figlio di Jorio» fu una terribile serata, con gli studenti che fischiavano a bella posta tutta una cosa armata da Marco Praga e dagli altri nemici del teatro dialettale… Quante amarezze soffrì. Credo che in quel periodo, per combattere tanti avversari, ci abbia rimesso dieci anni di vita… Dei suoi rivali, però, dopo aver vinto la causa, si vendicò fotografandoli, mettendoli in caricatura nelle riviste che, in collaborazione con Rocco Galdieri, dava al teatro Bellini.

Scarpetta è stato un’illustrazione del teatro italiano, siamo alla quarta generazione che rappresenta il suo repertorio, lui, il figlio Vincenzo, io e Luca… Più che di attualità sono lavori di costume, come quelli di Goldoni. Oggi un “Turco napoletano” non potrebbe esistere, c’è stata una tale trasformazione della società che il protagonista della commedia non può più fare impressione. Però la tecnica teatrale di quell’epoca è ancora valida. Guai a ricusare, a rinnegare il passato, è necessario per continuare. Non c’è il punto, e basta, sarebbe la morte.

Published in: on 14 novembre 2008 at 01:38  Lascia un commento  
Tags: ,

#47 Paola Quarenghi, “Vicoli stretti e libertà dell’arte”, in Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, Milano, Mondadori, 2000.

[pp. XV-XVI SCARPETTA]

Figlio d’arte, Eduardo inizia la sua attività teatrale nell’alveo di una tradizione antica, che, attraverso le maschere del Teatro San Carlino, si ricollega alla Commedia dell’Arte. Di quella tradizione suo padre, Eduardo Scarpetta, cresciuto alla scuola del grande Pulcinella Antonio Petito, è un erede, ma – secondo alcuni – anche un pericoloso avversario, sia per aver “inquinato” il repertorio più antico e originale del teatro napoletano con pochades e vaudevilles di importazione francese, sia per aver contribuito, con l’affermazione della maschera borghese di Felice Sciosciammocca, al declino di Pulcinella, la maschera che di quella tradizione è il simbolo.

Published in: on 13 novembre 2008 at 01:35  Lascia un commento  
Tags: , , ,

#36 Franca Angelini, Eduardo negli anni trenta: abiti vecchi e nuovi, in L’arte della commedia. Atti del convegno di studi sulla drammaturgia di Eduardo, a cura di Antonella Ottai e Paola Quarenghi, Roma, Bulzoni,1990.

[FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE] pp.15-16

A chi scriveva e recitava teatro nel decennio 1920-1930 si presentavano tre strade: proseguire le tradizioni locali e specialmente quella napoletana che era dialettale ma, per la complessità delle sue forme, anche nazionale; scrivere e recitare testi propri; recitare testi di altri e specialmente di Pirandello. Eduardo percorre tutte e tre queste strade; come i maggiori contemporanei, Viviani e Petrolini, scrive i suoi testi […].

Ancor ci si pone il problema di stabilire le soglie della tradizione e quelle dell’innovazione in questi percorsi degli attori-scrittori; ma io credo che tali soglie siano interne ad ogni segmento del percorso, che la tradizione si scelga e che quindi nella tradizione siano già contenute le linee dell’innovazione.

Eduardo lo dice a modo suo nel 1983 a Montalcino: «Se un giovane sa adoperare la tradizione nel modo giusto, essa può dargli le ali… Se ci serviamo della tradizione come d’un trampolino… arriveremo più in alto che se partissimo da terra».[I.Quarantotti De Filippo, Eduardo, Milano, Bompiani, 1985, p.82]

Il trampolino di Eduardo è il comico delle parodie, dei travestimenti, della coppia Pulcinella-Sciosciammocca nella versione greve di Petito, alleggerita poi dal comico garbato di Scarpetta, nei rapporti infine tra questo teatro e lo sketch del Varietà, la scenetta e l’atto unico d’ambiente. Queste forme passano da Petito e Scarpetta a Viviani e Eduardo, con permanenze e innovazioni verso l’epica popolare in Viviani, verso il dramma storico-collettivo in Eduardo.

Per la tradizione, senza congetturare, basta vedere i copioni di Eduardo, esclusi dalle edizioni: oltre alle riviste firmate con Mascaria (Maria Scarpetta), Mangini e Curcio troviamo una trascrizione della Monaca fauza di Trinchera, una riduzione della Palummella di Petito del 1954, una del Pulcinella che va truvanno ’a fortuna soia pe’ Napule di Altavilla e scenari della Commedia dell’Arte che Eduardo ha continuato a usare, come Petrolini, perché ottimi esercizi d’attore.

La proposta recente delle quattro commedie degli Scarpetta e, con essa, la riproposta della «innovazione» scarpettiana rispetto alla pratica precedente, fanno intendere una somiglianza tra i due percorsi. Scarpetta viene presentato come comunemente si presenta Goldoni, riformatore della Commedia dell’Arte; ma è probabile che Eduardo parli di sé quando espone il programma di Scarpetta: «fedeltà al copione scritto, abolizione delle improvvisazioni divenute ormai insopportabilmente lunghe e tediose, disciplina in compagnia e, nello scrivere, maggiore aderenza alla realtà e ai gusti del pubblico». [Quattro commedie di Eduardo e Vincenzo Scarpetta, Torino, Eianudi, 1974, p.55. Su questi temi vedi ora A.Barsotti, Eduardo drammaturgo, Roma, Bulzoni, 1988, p.131 sgg.]

Noi possiamo andare oltre; tra convinzione petito-scarpettiana e aderenza alla realtà, Eduardo trova diversi punti di equilibrio, verso il teatro o verso la vita, teatralizzando l’una e vitalizzando l’altra come ad altri non riuscì di fare. Ultima tappa della dialettica goldoniana «mondo» e «teatro».

Published in: on 12 novembre 2008 at 04:00  Comments (1)  
Tags: , , ,

# Harold Acton, Eduardo De Filippo, in AA.VV., Eduardo nel mondo, a cura di Isabella Quarantotti De Filippo, Roma, Bulzoni & Teatro Tenda, c1978

<!– @page { size: 21cm 29.7cm; margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>

[pp.56-57 PIRANDELLO]

L’influenza di Pirandello e l’impatto con la guerra dettero complessità e profondità sia al contenuto che alla forma delle sue opere, mentre le radici profondamente affondate nella tradizione paterna gli evitarono di cadere nell’allegoria metafisica.

Published in: on 4 novembre 2008 at 12:03  Lascia un commento  
Tags: , ,

#33Anna Barsotti, Scarpetta in Viviani: la tradizione nel moderno, in “Il castello di Elsinore”, anno V, 15, 1992, pp. 85-105.

[p.89 SCIOSCIAMMOCCA]

[…] Don Felice Sciosciammocca, il cui status varierà da opera ad opera, ma il cui modello creaturale sarà sostanzialmente lo stesso: il piccolo-borghese «investito» sì «dal basso» a con un’ottica grottesca disumanizzante; un «tenore» caricaturato, rappresentante di quel ceto appena appena elevatosi che della sua precaria promozione sociale portava addosso, negli abiti stretti stretti e corti corti, i segni vistosi e ridicoli.

[p.90 SCARPETTA RAPPRESENTA LA BORGHESIA EMERGENTE]

Scarpetta interpreta la crisi della maschera in senso naturalistico: «basta coi giochi di prestigio se si vuol essere uomini e non pupattoli». Ma rappresentare «uomini», per il ‘poeta comico’ fine-ottocentesco, implicava una scelta di campo determinata: mettere in scena la classe emergente, la borghesia napoletana. […] Proprio l’imborghesimento del personaggio centrale, dal Pulcinella petitiano al Don Felice scarpettiano, oltre a registrare una svolta storica del paese, aveva segnalato un mutamento di obiettivi spettacolari: «Petito è un’ipotesi ancora preunitaria […], quella cioè del contadino inurbato con una subalternità sostanziale rispetto ai modelli alti».

[p.92 OGGETTO DI SCARPETTA]

Scarpetta attraversava il mondo borghese napoletano, escludendo la plebe che «è troppo misera, troppo squallida e troppo cenciosa per comparire ai lumi della ribalta e muovere il riso»; perché «il vizio che germoglia come un’erbaccia parassita negli infimi strati del nostro popolo, rende quasi sempre doloroso anche il sorriso. E rivoltando quella melma fangosa si potrà scrivere un bel dramma passionale, un acuto studio sociale, ma non mai una commedia brillante» (Eduardo Scarpetta, Cinquant’anni di palcoscenico, memorie, Milano, Savelli, 1982, p.261)

[p.93 ‘RIFORMA’ SCARPETTIANA]

Come ‘uomo di teatro’ del secondo Ottocento, ricercherà la propria distinzione in una «riforma» della farsa in commedia, che ponesse i suoi prodotti «dialettali» sullo stesso piano dei migliori prodotti «in lingua» contemporanei , e in una identità di autore-traduttore artisticamente e socialmente riconosciuta, operando nel senso della rimozione degli elementi fantastici e della selezione verso la «naturalezza» e la «verisimiglianza». Cresciuto culturalmente in poca naturalistica, vorrà borghesizzare il teatro popolare-dialettale napoletano, nella scelta dei soggetti, dei personaggi, della lingua, dello stesso destinatario, il pubblico.

[p.98 LINGUAGGIO]

[…] Questo esordiente del «comico di parola» rientrava dunque, almeno nelle intenzioni, in un progetto di verosimiglianza: rifletteva, dal punto di vista della satira, un aspetto della «lingua» deformata dalla cultura e dalla parlata dei ceti medi. Esempi di questo tipo di ‘linguaggio’ li troviamo infatti non solo in bocca a Sciosciammocca – quando tenta di tradurre nel proprio dialetto il giuridichese del suo avvocato nello Scarfalietto –, ma soprattutto ai personaggi di contorno: Dorotea, la moglie di Don Gaetano, nella stessa commedia; Concetta, la moglie di Pasquale in Miseria e nobiltà, quando si sforza di rispondere in italiano al ricco pretendente della figlia, per apparire, sempre, quella che non è.

Published in: on 3 novembre 2008 at 14:16  Lascia un commento  
Tags:

Eduardo De Filippo, “Riflessioni sul teatro”, in Isabella Quarantotti, Eduardo. Polemiche, pensieri, pagine inedite, cit., pp. 142-167.

Puoi credere di recitar teatro

e fai trattenimento,

puoi credere di recitar teatro

ma reciti scontento,

puoi illuderti di scrivere teatro

ed è ricalcamento…

Puoi far teatro se tu sei teatro,

perché il teatro nasce da teatro

e quando è puro non consente giochi:

l’albero è uno, e i frutti sono pochi.

Published in: on 3 novembre 2008 at 06:59  Comments (37)  
Tags: , ,